Roma Fantascientifica - Intervista a Daniele Comberiati

Piccolo viaggio nella fantascienza nostrana, tra EUR e reliquie romane

La fantascienza italiana, troppo spesso sottovalutata, ha sempre avuto tanto da dire. Nonostante il pubblico sia abituato a pensare che il cinema di fantascienza sia sinonimo di grandi produzioni americane ad alto budget e di spettacolari effetti speciali, anche l'Italia, pur se in sordina rispetto agli USA, ha prodotto negli anni la sua buona dose di pellicole fantascientifiche. In un arco temporale che va dal '900 ai giorni nostri, tra distopia e società, robotica e sessismo, supereroi e mascolinità, oggi parliamo di: Fantascienza.

A tal proposito, abbiamo fatto quattro chiacchiere con Daniele Comberiati, professore associato di italianistica all’Université Paul-Valéry Montpellier e autore, insieme a Simone Brioni, del libro "Ideologia e Rappresentazione: Percorsi attraverso la fantascienza italiana". Il volume, naturale continuazione della precedente monografia "Italian Science Fiction: The Other in Literature and Film", analizza come l'adattamento di simboli, temi e convenzioni della fantascienza per un contesto nazionale specifico, permetta di comprendere meglio non solo tale contesto ma anche il pubblico a cui la produzione si rivolge.

Insieme a Daniele Comberiati, abbiamo quindi voluto ripercorrere le principali pellicole del genere - con un occhio particolarmente attento, come al solito, ai film ambientati nella Città Eterna, per ricordare che Roma sa essere anche fantascienza.


Daniele, di lei sappiamo che è professore associato di italianistica all'Université Paul-Valéry Montepellier, dove dirige il dipartimento di Studi Italiani, occupandosi di letteratura italiana della migrazione, postcolonialismo italiano, ma anche di scritture di viaggio. Potrebbe raccontarci come è arrivato alla fantascienza e come i suoi studi si siano ben conciliati con il genere fantascientifico?

In effetti ho trovato che il "passaggio", diciamo così, dagli studi postcoloniali alla fantascienza sia stato piuttosto naturale. In entrambi i casi mi sono interessato alla rappresentazione dell'alterità e della marginalità, inoltre, pur se in maniera diversa, anche gli autori e le autrici avevano caratteristiche simili: quelli migranti volevano far sentire la propria voce in un contesto, quello italiano, che aveva difficoltà a riconoscerli come scrittori e scrittrici tout court;  anche chi scriveva di fantascienza  aveva poi la necessità di legittimarsi come autore, non solo di genere, cosa che in Italia è stata difficile per diverso tempo. Da appassionato di fantascienza, soprattutto straniera, di cinema e fumetti, mi sono presto reso conto di questo punto in comune.

Ormai è pratica condivisa pensare che la fantascienza sia un genere tutto straniero e che l'Italia l'abbia quasi preso in prestito per poi rimodellarlo. Secondo lei che tipo di fantascienza è quella italiana?

Questo è stato uno dei punti su cui, con Simone Brioni, abbiamo riflettuto di più nel nostro libro. In effetti è vero che la fantascienza italiana è stata spesso considerata come "derivativa", molto ha giocato, negli anni Sessanta, il fatto che l'Italia, dopo aver perso la Seconda Guerra Mondiale e con il piano Marshall, fosse considerata una sorta di "colonia tecnologica" americana, in cui si compravano e consumavano prodotti concepiti e costruiti altrove. Ovviamente la realtà era più complessa, però ha giocato nell'immaginario il fatto che l'Italia fosse percepita in una condizione di minorità tecnologica e scientifica e quindi impossibilitata a produrre narrazioni fantascientifiche originali. In realtà però la fantascienza italiana è stata sempre molto originale e interessante: il filone della fantascienza sociologica, per esempio, ha prodotto romanzi come L'uomo è forte di Corrado Alvaro (1938), che anticipa dei temi orwelliani, o Il cavallo venduto di Giorgio Scerbanenco (1963), o ancora le produzioni di Gilda Musa e Luce d'Eramo. Film come I cannibali di Liliana Cavani e Il seme dell'uomo di Ferreri, seguono lo stesso percorso e, in maniera più accidentata, anche Nirvana di Salvatores, un film che tra l'altro si apre con l'idea di un'Italia divisa fra nord e sud. Sicuramente in Italia, più che sulle possibili innovazioni tecnologiche, si è riflettuto sulla futura forma del potere e sul rapporto fra stato e cittadini, temi secondo me molto interessanti e anche talvolta anticipatori. 

Rispetto al confronto che, lei e Simone Brioni, siete riusciti a creare in "Ideologia e Rappresentazione: Percorsi attraverso la fantascienza italiana" tra Maciste e la Regina di Samar di Gentilomo e il più recente Lo chiamavano Jeeg Robot di Mainetti, come pensa che sia cambiato il supereroe filmico negli anni e con lui il concetto di mascolinità?

Non so se l'idea di mascolinità sia cambiata sempre, perchè rimangono narrazioni filmiche e letterarie in cui il concetto di "uomo forte" resta. Però è certamente vero che, almeno nel film di Mainetti, vi è un tentativo di ripensare la mascolinità o almeno di rimetterne in discussione le caratteristiche principali. Credo che, anche grazie alle nuove teorie femministe, la mascolinità sia del tutto da ricostruire perché quella che è proposta oggi è chiaramente il retaggio di una cultura patriarcale. Soprattutto la fantascienza dei supereroi in tal caso si presta a una rivisitazione e a diverse riscritture: d'altra parte anche nel fumetto e nei film di supereoi statunitensi vi è da tempo il tentativo di riscrivere i soggetti maschili e non solo, ovviamente. In questo Lo chiamavano Jeeg Robot è assolutamente contemporaneo, perché al netto di alcune superficialità prova a proporre una visione differente o comunque più complessa di mascolinità.

Pensando a Io e Caterina di Alberto Sordi, con i robot che fanno il loro ingresso nella commedia, potrebbe raccontarci in poche parole perché secondo lei la fantascienza si presta così bene a discorsi importanti e tematiche forti come quella di genere?

Soprattutto in Italia alla fine degli anni Sessanta e negli anni Settanta, ci sono state diverse autrici, come Gilda Musa e Roberta Rambelli, che hanno iniziato a riflettere sul genere e sulle relazioni patriarcali nella società, in questo credo che la posizione marginale della fantascienza in Italia abbia aiutato, perché da una prospettiva "minoritaria", che nella realtà non lo era, ma così veniva considerata, le narrazioni forse sono state più libere e radicali. Pensiamo anche a narrazioni contemporanee: i romanzi di Sabina Guzzanti o Veronica Raimo sono molto interessanti per ripensare il genere e le sue relazioni in un futuro prossimo. In questo, paradossalmente, potremmo affermare che la fantascienza sia anche un genere realistico: attraverso le convenzioni del genere propone un reportage acuto sulla realtà circostante e ragiona sui suoi possibili sviluppi. Questo tipo di riflessioni tra l'altro erano già presenti nei decenni precedenti: I cannibali di Liliana Cavani, che riprende il mito greco di Antigone e lo riscrive in chiave distopica, già ragionava nel 1970 su questi temi.

Daniele, le andrebbe di raccontarci qualcosa riguardo le ambientazioni ricorrenti nei film fantascientifici girati a Roma? Penso all'EUR che torna ne La Decima Vittima, come in Lo chiamavano Jeeg Robot o in L'ultimo uomo della Terra.

L'EUR è in effetti uno scenario molto utilizzato, sia per l'architettura particolare, che tra l'altro ben si prestava a quel tipo di fantascienza asettica e razionale degli anni Sessanta, sia per la sua storia. Inoltre l'EUR è un quartiere ucronico, a partire dal suo nome: avrebbe dovuto rappresentare l'affermazione internazionale del fascismo con l'Esposizione Universale del 1942, solo che quell'esposizione non si è mai realizzata a causa della guerra, ma camminando per il quartiere è facile immaginare che cosa sarebbe successo "se". Una sorta di gigantesca ucronia architettonica. Però se devo pensare ad un'immagine di Roma nella fantascienza, oltre che all'EUR, non riesco a non pensare al Colosseo in Ranxerox, un fumetto che tra l'altro anticipa anche alcune convenzioni del cyberpunk. Rispetto alla razionalità dell'EUR abbiamo un futuro caotico, sporco e disordinato. Davanti al Colosseo un hotel con lo stesso nome, davvero fa impressione notare come Tamburini e Liberatore avessero già anticipato nel 1978 alcuni aspetti della gentrification contemporanea. Le grandi reliquie della Roma imperiale diventano un luogo turistico.

Per finire, nel libro si fa riferimento al fatto che il genere fantascientifico, essendo un genere minore, sia sempre stato più libero e capace di trattare temi e idee rimosse dall'immaginario nazionale, temi di cui in un certo senso non si voleva parlare. Tra i film da voi presi in considerazione e analizzati nel libro, quale le è rimasto più impresso per il suo modo di rispecchiare la società italiana? 

Per me La Decima Vittima, anche con l'idea di una sorta di gioco macabro, rimane un punto di riferimento, e a volte mi sembra che per certi versi anticipi alcuni aspetti dei recenti reality, penso anche ad una puntata della prima stagione di Black Mirror: Fifteen Million Merits. Ho trovato poi Il ronzio delle mosche di Dario D'Ambrosi inspiegabilmente sottovalutato: la riflessione sulla "follia" in Italia a partire da Basaglia, ma in realtà anche da fine Ottocento, è stata sempre molto importante. Il film, in chiave fantascientifica, ci mette di fronte a una serie di domande molto attuali: che cos'è la normatività? Chi la decide e chi ne detiene le convenzioni? Essere "anormali" significa essere malati? O non è la stessa malattia mentale ad essere ideologicamente orientata? Il film ovviamente non risponde a tutti questi interrogativi, ma ce li pone e come spettatori e spettatrici ci troviamo costretti a rifletterci e a mettere in crisi alcune nostre sicurezze.

Sugli stessi temi, anche un film come H2S già nel 1969 metteva in scena la follia in chiave fantascientifica, impiegando anche un tono grottesco che mi ha fatto pensare, con le dovute differenze ovviamente, a quello che avrebbe fatto Kubrick due anni dopo in Arancia meccanica. In entrambi i casi il processo di rieducazione è centrale, come è centrale il controllo mediatico all'interno della società.